Giulia Gianuzzi, GIORNO 48 ULTIMO GIORNO INSIEME, GLI ADDII
Molte sono le persone a cui ho detto
“arrivederci”. “Arrivederci” è una parola che mi piace molto. E’ una delle
poche parole senza colore netto che riesco a dire, io che nella vita sono o
bianco o nero, dico “arrivederci” con speranza.
L’arrivederci alle 25 donne con cui ho
condiviso questi quasi due mesi è stato un saluto molto sentito,
inaspettatamente sofferto ed emozionante. “Sono passate in fretta queste
settimane” continuano a ripetermi e io sorrido, loro lo sanno che per me alcune
sono parse infinite, lo sanno perché c’erano sempre, sono state amiche, mamme,
zie, sorelle, nonne, sono state importanti. Quando poi mi guadagno un loro
abbraccio, anche se mi ero ripromessa di lasciare un sorriso come ultimo
ricordo il pianto è quasi automatico, per tutte. Perché in quei momenti lo
senti che potrebbe veramente essere l’ultima volta e senti che se fossi onesta
diresti addio, ma proprio da loro ho imparato che anche una minima possibilità
genera ottimismo così ci salutiamo come se tenessi già il biglietto di ritorno.
Si scusano per non aver pensato ad un regalo e mi lasciano i loro santini porta
fortuna, Allissia mi regala una moneta giapponese, lei che non è mai uscita dai
confini argentini ma possiede monete di tutto il mondo, due amiche mi invitano
per tomar un mate(la bevanda tipica di acqua calda e erbe aromatiche)nella loro
casa fatiscente e io penso a quanto sono stata fortunata a conoscerle.
L’arrivederci tra i compagni di avventura
solitamente è una festa. Non è mai un addio, niente pianti o frasi ipocrite,
mai triste o malinconico forse anche perché frazionato nel tempo. I volontari,
infatti arrivano tutti in momenti diversi e così in momenti diversi se ne
vanno, per questo ho iniziato con le feste di arrivederci già dalla mia prima
settimana e la mia ultima sera l’ho trascorsa con persone che conoscevo da soli
2 giorni. E’ stata una sorpresa l’ultima cena con gli altri compagni ormai già
amici; nonostante la breve conoscenza hanno deciso di cucinare e offrire dolci
tipici dei propri paesi, brindando con un alcolico brasiliano gli ultimi minuti
prima di partire. Il desiderio comune si riflette negli occhi di tutti:
rivedersi un giorno in qualche parte del mondo per poter continuare a vivere
quella quotidianità che ci ha permesso di condividere quasi dal primo incontro
tutti noi stessi. I rapporti creati sono nati in maniera molto rapida ma
altrettanto intensa da sperare con ragione, di poter mantenere i contatti
nonostante ci siano oceani di distanza.
Infine l’arrivederci alla città che in
questi giorni è stata tutto. L’ho salutata guardandola dal sedile 49E nella
fila centrale, l’ho salutata da lontano e quasi non volevo vederla ma quelle
sue luci erano così forti da illuminare l’interno dell’aereo, perché Buenos
Aires l’ho incontrata di notte e nell’oscurità l’ho lasciata. Ma è stato in un
pomeriggio di circa due settimane fa che mi sono accorta di esserci cascata, di
essere caduta nella sua trappola e ho realizzato: mi sono innamorata di una
città stronza. Nonostante le mancanze e i difetti, nonostante i litigi e le
arrabbiature gratuite che ho patito, mi ha conquistato, e l’ho capito quando ho
aperto gli occhi senza paura, quando ho imparato a guardala per quello che è e
non per come vorrei che fosse. La lascio ringraziandola per essersi fatta
conoscere così, per essersi aperta a me in molte sue sfaccettature e per avermi
messo alla prova facendomi conoscere le mie sfaccettature. La lascio perché
devo e voglio, ma non l’abbandono, vorrei dirle a presto, ma so che è una
promessa che non posso mantenere e quindi
“Arrivederci, amore mio!”
Giulia Giannuzzi
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